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TEST 144 – Oscillazioni metriche residue nel raccordo dolce

Scopo del test
Il cuore di questo test è stato quello di esplorare una zona precisa e delicata della funzione z(t): quel tratto intermedio in cui l’universo, nella visione informazionale della CMDE, smette di comportarsi secondo le regole primordiali e inizia a organizzare il tempo in una forma sempre più leggibile e stabile. Si tratta del cosiddetto raccordo dolce, un passaggio apparentemente continuo e regolare, ma che potrebbe conservare in sé la memoria ritmica di ciò che è accaduto prima. L’obiettivo è stato dunque capire se, scavando abbastanza in profondità, qualcosa di questa memoria si lasci ancora intravedere. Per farlo, si è deciso di non guardare la funzione nella sua forma diretta, ma di interrogare la sua quarta derivata, cioè un livello abbastanza profondo da rivelare strutture che resterebbero invisibili in superficie. Il test, in sintesi, ha cercato armonie residue in un punto dove l’universo sembrava averle già superate, ma forse non del tutto dimenticate.

Descrizione della funzione
La funzione z(t) racconta il tempo non come una successione lineare di istanti, ma come un processo informazionale che trasforma ogni frammento di luce in traccia metrica. All’interno di questa narrazione, il raccordo dolce rappresenta una fase cruciale, perché è il momento in cui l’universo non espande più solo intensità, ma comincia a organizzare struttura, ritmo e direzione. In apparenza, questo passaggio avviene senza fratture: la funzione è continua, le sue curve si piegano con eleganza, la transizione sembra liscia. Ma proprio questa apparente regolarità può nascondere, nel suo profondo, oscillazioni che non sono più visibili nella forma esterna, ma sopravvivono nel modo in cui cambia la curvatura del tempo stesso. La quarta derivata, in questo contesto, non è solo un esercizio matematico: è lo strumento con cui possiamo tentare di captare la vibrazione residua di una trasformazione cosmica avvenuta in silenzio, ma non senza lasciare impronte.

Metodo di analisi
Per penetrare in questa zona sottile della funzione, si è costruito un percorso di analisi ad alta risoluzione che copre interamente l’intervallo temporale del raccordo. Sono stati distribuiti mezzo milione di punti nell’intervallo compreso tra circa 30 milioni e 3 miliardi di anni dopo l’origine, in modo da poter osservare ogni minima variazione senza perdere dettaglio. Su questo insieme è stata calcolata la quarta derivata della funzione, punto per punto, seguendo un approccio numerico raffinato, ma senza forzature. Per proteggere il segnale da rumori indesiderati, è stato applicato un filtro intelligente capace di mantenere intatta la forma armonica del segnale pur eliminando le fluttuazioni spurie. Una volta ottenuto un segnale pulito, si è passati a un’analisi spettrale: l’equivalente di un orecchio che ascolta il tempo e cerca di riconoscere se in mezzo al flusso si nascondono note ripetute, frequenze dominanti, picchi regolari. Questo ascolto è stato fatto con cura, su più segmenti del tempo e con diverse amplificazioni, per essere certi che ciò che emerge non fosse un’illusione.

Risultati ottenuti
E ciò che è emerso, con forza e chiarezza, è stata la presenza di tre picchi ben distinti nel dominio delle frequenze. Tre segnali ricorrenti, ravvicinati, precisi. Le loro frequenze si sono rivelate straordinariamente stabili e concentrate in una zona ben delimitata dello spettro, mentre le loro ampiezze hanno superato di gran lunga qualsiasi altra componente presente, rendendoli inequivocabili. Non si tratta di fluttuazioni casuali, né di eco numeriche: sono segnali metrici che si ripresentano con insistenza e coerenza, come se la funzione, pur essendo ormai entrata nella sua fase evolutiva più matura, conservasse in sé un residuo ritmico. Questa firma armonica non si mostra nei livelli superficiali della funzione, ma solo a una profondità dove il tempo sembra ancora ricordare le oscillazioni che lo hanno formato. Il fatto che tali picchi compaiano soltanto nella quarta derivata è già di per sé un’indicazione forte: l’universo non dimentica del tutto, ma rielabora ciò che ha vissuto in forma di vibrazione interna.

Interpretazione scientifica
Il significato di questi risultati non è soltanto tecnico, ma tocca il cuore della concezione informazionale del cosmo. La presenza di oscillazioni metriche residue in una fase che sembrava ormai stabilizzata indica che l’universo conserva una memoria ritmica anche quando ha già assunto un andamento regolare. Questa memoria non si manifesta come una semplice curvatura, ma come una struttura metrica interna che continua a pulsare a una frequenza precisa, quasi fosse il battito sommerso di un tempo che non ha mai smesso di vibrare. È proprio questo tipo di coerenza, silenziosa ma persistente, che distingue la metrica informazionale da una dinamica puramente fluida o casuale. In modelli che descrivono l’universo come espansione priva di memoria, non ci si aspetterebbe alcun tipo di risonanza residua, e tanto meno una così ben definita. Ma qui, al contrario, ciò che si rileva è una struttura metrica che non solo sopravvive, ma si mostra chiaramente quando la si interroga con gli strumenti adatti. È una dimostrazione implicita, ma potente, che il tempo non scorre: trasforma, stratifica e conserva.

Esito tecnico finale
Il test è da considerarsi pienamente superato. L’evidenza delle tre oscillazioni armoniche principali nella derivata quarta della funzione è solida, coerente e confermata su più livelli di analisi. La loro stabilità, la loro ampiezza e la loro specificità confermano che non si tratta di rumore né di effetti spuri, ma di una vera e propria manifestazione interna della struttura metrica del tempo. Questo risultato rafforza in modo decisivo l’ipotesi di una dinamica cosmica regolata da trasformazioni informazionali profonde, e segna un punto di distacco misurabile rispetto alle interpretazioni standard prive di struttura interna. Il fatto che la funzione conservi armonia, ritmo e coerenza in una fase considerata di semplice transizione è la prova che l’universo non cambia solo di forma, ma custodisce al proprio interno la traccia del proprio cambiamento. E in quella traccia, visibile solo alle derivate più alte, vive il segno concreto di una metrica non convenzionale, capace di lasciare impronte riconoscibili anche nei silenzi più profondi del tempo.

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