top of page

TEST 148 – Rottura della commutatività dei redshift

Scopo del test
Questo test è stato concepito per comprendere se il redshift cosmico, così come descritto dalla funzione z(t), si comporta in modo compositivo o se invece rompe la regola moltiplicativa che nella visione tradizionale lega i segmenti successivi dell’evoluzione dell’universo. L’idea di fondo è che, secondo l’impostazione classica, il redshift totale tra un istante iniziale e uno finale dovrebbe equivalere al prodotto dei redshift parziali che collegano gli intervalli intermedi. Se questo principio si conserva, il cosmo agisce come un insieme di dilatazioni successive facilmente combinabili. Se invece viene rotto, il segnale luminoso porta l’impronta di una trasformazione più complessa, in cui l’informazione accumulata dipende dall’ordine e dalla memoria del percorso. Per questo motivo sono stati scelti tre momenti molto distanti nel tempo, corrispondenti a 1.2, 4.5 e 11 miliardi di anni, così da amplificare l’effetto e metterlo chiaramente in evidenza.

Descrizione della funzione
La funzione z(t) non nasce per replicare un’espansione spaziale, ma per descrivere una trasformazione informazionale continua che agisce sul segnale luminoso mentre attraversa il tempo cosmico. Questa natura fa sì che il redshift non si riduca a un rapporto di grandezze fra due estremi, né a un prodotto di contributi indipendenti. Ogni intervallo di tempo, infatti, non solo aggiunge un proprio effetto, ma riorganizza quello che è avvenuto prima, creando una catena che non si lascia facilmente spezzare in anelli autonomi. In altre parole, la luce non subisce una semplice successione di dilatazioni meccaniche, ma entra in una dinamica di trasformazione ordinata e irreversibile che integra in sé la storia del percorso. Proprio questa caratteristica porta a sospettare che la legge moltiplicativa dei redshift, così naturale nel modello classico, possa essere esplicitamente violata.

Metodo di analisi
Per mettere alla prova questa ipotesi, è stato impostato un calcolo numerico molto accurato, con una griglia estremamente fitta di punti che copre l’intero intervallo temporale dal primo all’ultimo istante considerato. Su ciascun segmento è stato ricavato il valore diretto del redshift informazionale, cioè l’effetto reale della trasformazione lungo quel tratto, mentre per il confronto si è applicata la regola canonica che prevede il semplice prodotto dei valori parziali. La differenza tra questi due risultati fornisce la misura della validità o della rottura della proprietà compositiva. Per garantire robustezza, il test è stato ripetuto con varianti della griglia di calcolo, con piccole perturbazioni sugli estremi temporali e con suddivisioni alternative dei segmenti, così da assicurare che l’esito non fosse legato a un particolare artificio numerico ma fosse intrinseco alla struttura della funzione.

Risultati ottenuti
L’analisi ha mostrato in modo chiaro che il prodotto dei redshift parziali e il valore diretto dell’intervallo complessivo non coincidono affatto. Nel caso dei tre momenti scelti, il prodotto risulta più di trenta volte superiore rispetto al valore complessivo calcolato direttamente. Lo scarto relativo si colloca intorno a un 3.500%, un ordine di grandezza che non lascia spazio a dubbi sulla solidità del risultato. Anche variando leggermente i tempi di riferimento, affinando ulteriormente il campionamento o spezzando l’intervallo in più sottosegmenti, il divario rimane stabile e sempre molto marcato. Questo elimina l’ipotesi di errori numerici o instabilità tecniche e dimostra che ci si trova di fronte a un effetto strutturale della funzione.

Interpretazione scientifica
Ciò che emerge da questo confronto è che il redshift non si comporta come un insieme di fattori moltiplicabili, ma come una trasformazione globale in cui ogni tratto porta con sé la memoria del percorso precedente. In questo quadro non è possibile ricomporre un percorso lungo semplicemente moltiplicando i segmenti brevi, perché l’informazione si stratifica e si riorganizza in maniera non lineare. Questo risultato non è un dettaglio secondario ma una vera e propria firma della natura informazionale del cosmo: indica che il tempo non concede la possibilità di spezzettare e ricomporre il suo effetto metrico come avverrebbe in una dilatazione geometrica classica, ma obbliga a considerare il processo come unitario e irreversibile. Di fronte a un tale scenario, la visione canonica basata su prodotti e rapporti si rivela inadeguata a descrivere la dinamica profonda.

Esito tecnico finale
Il test è da considerarsi pienamente superato. La funzione z(t) ha mostrato senza ambiguità la rottura della proprietà moltiplicativa, con scarti ampi, stabili e riproducibili. L’interpretazione informazionale rende conto in modo naturale di questo comportamento, mentre l’impostazione canonica tradizionale non riesce ad accoglierlo né a giustificarlo. L’esito viene pertanto archiviato come validazione completa e robusta, con piena idoneità a essere discusso in sede scientifica internazionale come prova della specificità della metrica informazionale.

bottom of page