TEST 20 – Equivalenza tempo–redshift
Scopo del test
Il fine di questo test è quello di verificare se la relazione tra tempo cosmico e redshift possa essere considerata pienamente biunivoca lungo tutta l’evoluzione dell’universo descritta dalla CMDE 4.1. In altre parole, si è voluto accertare se, dato un valore di redshift, esista sempre un solo corrispondente valore di tempo e viceversa, senza ambiguità o duplicazioni. Questo punto è cruciale perché dall’invertibilità della funzione z(t) dipende la possibilità di leggere i dati cosmologici in chiave temporale informazionale, traducendo l’osservato in coordinate che siano coerenti con la logica del modello.
Descrizione della funzione
La funzione che lega tempo e redshift nella CMDE 4.1 è definita in tre fasi. La prima, iperprimordiale, è governata dalla relazione z1(t) = t^9.31 / (1.515×10^-40) − 1 e descrive l’inizio rapido e intenso dell’espansione informazionale. La seconda, detta di raccordo, è costruita attraverso una funzione logaritmica con interpolazione di tipo Hermite, cioè z2(t) = exp(y2(ln t)) − 1, dove y2 è un polinomio definito in modo da rispettare condizioni di continuità e di derivata agli estremi. È qui che si innestano le condizioni al contorno: Y1 e M1 alla base del raccordo, Y2 e M2 al suo termine, con pendenze rispettivamente positiva e negativa, così da garantire una transizione dolce ma strutturalmente inevitabile. Infine, la fase classica è descritta da z3(t) = (t0/t)^3.2273 − 1 e rappresenta l’evoluzione ordinata e regolare dell’universo informazionale verso lo stato attuale. Per ognuna di queste tre fasi la continuità è garantita fino all’ottavo ordine, ma la monotonia non è scontata in particolare nel tratto intermedio, dove la derivata cambia inevitabilmente segno.
Metodo di analisi
Per affrontare il problema si è proceduto con un’analisi numerico-simbolica estremamente dettagliata. Sono stati campionati 10.000 punti lungo l’intero dominio temporale, con particolare densità attorno alle zone critiche di raccordo. Per ogni punto è stato calcolato il corrispondente valore del redshift, insieme alle derivate fino all’ottavo ordine, così da garantire un controllo sia locale sia globale della stabilità della funzione. L’inversione della funzione è stata tentata con due strategie parallele: da un lato attraverso algoritmi di ricerca delle radici e interpolazioni spline, dall’altro mediante ricostruzioni locali basate sulla segnalazione del segno della derivata e sul comportamento della funzione log-Hermite. In ogni fase si è controllato l’errore ricostruendo la composizione t(z(t)) e z(t(z)), verificando la presenza di eventuali scostamenti e misurandone l’entità relativa. Sono stati inoltre introdotti test di robustezza variando i passi di campionamento, le tolleranze numeriche e i criteri di arresto, così da escludere che eventuali anomalie potessero essere frutto di instabilità algoritmiche o di approssimazioni numeriche.
Risultati ottenuti
I risultati mostrano un quadro differenziato a seconda della fase. Nella regione iperprimordiale la funzione cresce in modo netto e stabile, senza punti critici, con derivata positiva su tutto l’intervallo: l’inversione è stata eseguita senza alcuna difficoltà e con un errore di ricostruzione inferiore allo 0,2%. Analogamente, nella fase classica, la funzione decresce in modo regolare, con derivata sempre negativa, e anche qui la biunivocità risulta pienamente confermata. La situazione cambia nella fase di raccordo. Per costruzione, questa zona deve collegare una pendenza positiva iniziale a una negativa finale, il che implica l’esistenza di un punto intermedio in cui la derivata si annulla. In quel punto il redshift raggiunge un estremo locale e, di conseguenza, la funzione perde la monotonia. Le simulazioni numeriche hanno mostrato che, proprio intorno a tale punto, la funzione inversa non è più univoca: per uno stesso valore di z esistono due diversi valori di t. Lo scostamento registrato nella ricomposizione t(z(t)) è risultato molto contenuto nelle fasi esterne, ma è salito al 5–7% nella regione centrale, segnalando che il problema non è un artefatto ma una caratteristica intrinseca. Le verifiche con variazione di parametri hanno confermato la stabilità del risultato, indicando che non si tratta di un effetto numerico transitorio ma di un tratto strutturale della metrica.
Interpretazione scientifica
Questi risultati, riletti alla luce della formulazione definitiva della CMDE 4.1, non devono essere interpretati come una debolezza del modello ma come un riflesso della sua logica profonda. L’universo informazionale non evolve in modo monotono e lineare, ma attraversa momenti di compressione e di riallineamento dell’informazione. È proprio in questi punti di raccordo che si verifica un collo metamorfico, dove il tempo e il redshift non mantengono più una corrispondenza uno-a-uno. La biunivocità si rompe localmente ma lo fa in modo del tutto coerente con la natura della metrica. Per garantire l’uso pratico della funzione inversa t(z) su tutto il dominio, sarà necessario introdurre una variabile ausiliaria, un tempo armonico T(t), pensato appositamente per reintrodurre monotonia e stabilità anche in quei tratti critici. Questa soluzione non rappresenta un’aggiunta artificiale ma un’estensione naturale del quadro teorico, già prevista nei protocolli di armonizzazione della CMDE.
Esito tecnico finale
Alla luce delle analisi condotte, il test non può essere considerato superato in senso globale, perché l’invertibilità di z(t) fallisce nella fase di raccordo. Tuttavia, se si osservano le tre fasi separatamente, la biunivocità è pienamente confermata nelle regioni iperprimordiale e classica. L’esito finale è dunque da considerarsi come non superato, ma parzialmente valido per fasi e soprattutto compatibile con la struttura del modello. La criticità rilevata non mina la coerenza della teoria, ma anzi mette in luce una proprietà caratteristica del tempo informazionale, aprendo la strada alla futura armonizzazione tramite la variabile T(t) che renderà la mappa tempo–redshift completamente regolare.