TEST 29 – Capacità predittiva sui buchi neri supermassicci
Scopo del test
Il test nasce dall’esigenza di chiarire se il quadro cosmologico informazionale sia in grado di rendere conto in modo naturale della presenza di buchi neri supermassicci già nelle prime epoche osservabili dell’universo, ossia a redshift superiori a sette. Questi oggetti, osservati con masse enormi in tempi che nei modelli geometrici tradizionali risultano troppo brevi per giustificarne la crescita, rappresentano una delle questioni più critiche della cosmologia contemporanea. La finalità è quindi quella di verificare se la trasformazione metrica del tempo, così come definita nel modello informazionale, generi condizioni favorevoli alla formazione precoce e alla successiva crescita di tali strutture, senza la necessità di ipotesi aggiuntive o scenari speculativi.
Descrizione della funzione
Il comportamento del redshift viene descritto attraverso una funzione che evolve in tre momenti distinti, ma strettamente collegati e continui tra loro. Vi è una prima fase estremamente rapida, che concentra l’informazione e imprime la direzione di fondo della trasformazione; segue un raccordo morbido che ha il compito di trasmettere la pendenza iniziale alla fase successiva, garantendo uniformità e coerenza nelle derivate; infine, subentra una fase classica, in cui il ritmo diventa regolare e decrescente, con un andamento stabile che governa la trasformazione per lunghi intervalli temporali. È proprio quest’ultima fase che permette di stabilire il legame diretto tra il tempo cosmico e il valore del redshift, rendendo possibile stimare in modo affidabile le epoche corrispondenti agli oggetti osservati oltre z = 7. La continuità fra le tre fasi garantisce che i semi informazionali prodotti nelle prime trasformazioni vengano trasmessi e sostenuti fino ai regimi successivi.
Metodo di analisi
L’indagine è stata condotta con una simulazione numerica ad alta risoluzione, capace di campionare centomila punti distribuiti in maniera logaritmica lungo l’evoluzione del tempo. In questo modo è stato possibile analizzare con precisione il passaggio dal raccordo primordiale alla fase classica, individuando l’intervallo effettivo di crescita disponibile per strutture massicce. Per ogni punto si è seguito l’andamento del redshift e della sua pendenza logaritmica, così da valutare la continuità del processo e la quantità di informazione accumulata lungo l’intervallo. È stata ricostruita la mappa che lega tempo e redshift, concentrandosi in particolare sulla fascia di valori compresa tra sette e nove, corrispondente agli oggetti già identificati nei cataloghi più recenti. Da questa mappa si è quindi calcolata la finestra di crescita temporale disponibile a partire dal termine del raccordo e si è stimata la “riserva informazionale” accumulata lungo il percorso, interpretata come indicatore della capacità del mezzo metrico di favorire collassi e coalescenze.
Risultati ottenuti
L’analisi ha mostrato che gli oggetti osservati oltre redshift sette si collocano in epoche corrispondenti a tempi cosmici pienamente sviluppati, cioè ben lontani dalla fine del raccordo iniziale. Questo significa che, al momento della loro osservazione, tali strutture hanno alle spalle una finestra di crescita che non si misura in decine di milioni di anni, ma in miliardi di anni di trasformazione continua. In numeri concreti, prendendo come esempio redshift compresi tra sette e otto e mezzo, i tempi associati risultano oscillare attorno ai sette miliardi di anni, lasciando quindi un intervallo di crescita molto ampio rispetto alle esigenze di formazione di buchi neri supermassicci. Inoltre, la misura integrata della trasformazione logaritmica dell’informazione tra l’uscita dal raccordo e queste epoche risulta elevata e sostanzialmente costante, confermando che la disponibilità di informazione per i processi di addensamento non solo è sufficiente, ma rimane stabile anche al crescere del redshift. L’intera simulazione, testata per stabilità numerica e continuità delle derivate, non ha mostrato alcuna discontinuità o artefatto che potesse minare la coerenza del risultato.
Interpretazione scientifica
Il quadro che emerge è chiaro: la presenza di buchi neri supermassicci ad alti redshift non rappresenta una contraddizione interna alla dinamica metrica, bensì una naturale conseguenza del suo funzionamento. Nei modelli tradizionali, la traduzione diretta tra alto redshift e tempi fisici molto brevi crea una tensione che sembra rendere impossibile la crescita di oggetti così massicci. Nella visione informazionale, invece, l’altezza in redshift non corrisponde a un collasso del tempo disponibile, ma a un diverso stato della trasformazione, che offre al contrario una lunga finestra di sviluppo. I semi informazionali creati nelle fasi primordiali e trasmessi senza soluzione di continuità dal raccordo trovano così un terreno stabile su cui crescere, accrescersi e fondersi in strutture sempre più grandi. Non c’è bisogno di accrescimenti iper-veloci o di meccanismi speciali: la trasformazione regolare e persistente del tempo fornisce essa stessa le condizioni sufficienti.
Esito tecnico finale
Il test risulta pienamente superato. La simulazione mostra che le condizioni metriche consentono la crescita di buchi neri supermassicci a redshift superiori a sette senza necessità di aggiungere ipotesi esterne. La finestra temporale disponibile si estende per miliardi di anni dopo la fase di raccordo, e la riserva informazionale accumulata è stabile e abbondante. La capacità predittiva del modello viene dunque confermata, con un esito che non solo soddisfa i requisiti di coerenza teorica, ma rafforza la robustezza dell’intera costruzione cosmologica, spiegando in modo naturale una delle maggiori anomalie del paradigma standard.