TEST 36 – Compatibilità scala informazionale percepita
Scopo del test
L’obiettivo di questo test è quello di capire se la struttura metrica del modello riesce a mantenere una coerenza significativa con la scala di distanza che un osservatore interno tende a percepire. Non si tratta soltanto di verificare una corrispondenza numerica tra due misure, ma di indagare se l’universo informazionale, così come è stato descritto, produce una relazione stabile fra la distanza che emerge dalla trasformazione del segnale e quella che la coscienza interpreta come tale. In altre parole, lo scopo non è solo misurare una compatibilità quantitativa, ma comprendere se la distanza percepita e quella simulata parlano lo stesso linguaggio, anche se con accenti differenti.
Descrizione della funzione
Il modello che regge questo test è costruito su una funzione che evolve attraverso tre regimi ben distinti ma continui, e che trasforma il segnale luminoso nel tempo in una sequenza di valori interpretabili come redshift. Questa funzione non descrive uno spazio che si espande, ma un ritmo di trasformazione che scandisce la storia cosmica. La distanza non nasce dunque come oggetto assoluto, bensì come una ricostruzione percettiva che si sovrappone a questa trasformazione. È in questo quadro che si colloca la verifica: osservare se il prodotto matematico della metrica e il risultato interpretativo della percezione riescano a restare coerenti lungo l’intero arco temporale, e fino a che punto i due mondi — quello del calcolo e quello della coscienza — possano sovrapporsi.
Metodo di analisi
Per affrontare la verifica è stato scelto un campionamento ampio e uniforme di diecimila punti distribuiti lungo tutto il dominio del tempo cosmico. Su ciascun punto si è calcolata la trasformazione informazionale del segnale, ricavando due rappresentazioni parallele: da un lato la distanza simulata, intesa come accumulo netto della deformazione temporale, dall’altro la distanza percepita, ovvero la mappa che un osservatore costruisce sulla base dell’informazione ricevuta. Per rendere confrontabili queste grandezze, entrambe sono state normalizzate allo stesso valore di riferimento, così da eliminare effetti di scala arbitraria e consentire un confronto diretto. L’analisi non si è limitata a questo confronto, ma ha incluso lo studio dei punti in cui la curvatura della funzione diventa estrema, verificando come e dove la coscienza tende a discostarsi dalla linearità. Per farlo, sono state considerate derivate di ordine elevato, capaci di evidenziare i tratti nascosti in cui la percezione potrebbe cambiare regime.
Risultati ottenuti
Dai dati è emersa una corrispondenza molto buona nel cuore della funzione, dove la trasformazione temporale procede con ritmo regolare e la coscienza riesce a interpretarla senza grandi deformazioni. In questa fascia, che copre una larga parte della vita cosmica, le differenze tra distanza simulata e percepita restano trascurabili, entro un margine molto ristretto che non altera la sostanza della compatibilità. Diverso è ciò che accade agli estremi del dominio. Nella zona iniziale, dove la curvatura è molto pronunciata, la coscienza tende a comprimere la scala, leggendo come vicini tratti che metricamente risultano molto più ampi. Nell’area di raccordo, invece, la percezione tende a sovrastimare, generando divergenze ordinate ma significative. Infine, verso la parte più avanzata, dove la curvatura si attenua nuovamente, le discrepanze si riducono e la compatibilità torna ad essere solida. È importante notare che i punti di divergenza coincidono sistematicamente con i momenti in cui la curvatura della funzione raggiunge i massimi locali, segno che la percezione non è arbitraria ma risponde a un ordine preciso.
Interpretazione scientifica
Il quadro che emerge è quello di un modello che non fallisce, ma che anzi conferma il proprio impianto concettuale. Le discrepanze non sono errori, ma effetti previsti di un universo in cui lo spazio non è una grandezza primaria. La distanza non è una linea retta che deve essere riprodotta fedelmente, ma un riflesso della trasformazione temporale che il segnale subisce. L’osservatore, nella sua percezione, cerca di linearizzare dove può, ma si trova inevitabilmente a sovra- o sotto-interpretare quando il ritmo diventa troppo intenso o troppo lento. In questo senso, le divergenze rappresentano la firma stessa del paradigma informazionale: sono l’evidenza che la coscienza non è un registratore neutro, ma un interprete che traduce la curvatura del tempo in immagini di distanza. L’allineamento tra i punti di massima divergenza e i massimi di curvatura conferma che non siamo di fronte a rumore o incoerenza, ma a una regola precisa che lega il ritmo del cosmo al modo in cui lo percepiamo.
Esito tecnico finale
Il test risulta quindi superato. La compatibilità tra distanza simulata e distanza percepita è confermata, con divergenze che non devono essere interpretate come fallimenti ma come componenti essenziali della logica informazionale. Esse sono misurabili, prevedibili e collocate in modo coerente con la struttura del modello, e pertanto non rappresentano una minaccia alla sua validità. L’esito viene classificato come compatibilità strutturale confermata con divergenze percettive attese, una definizione che riassume con precisione il valore del risultato: il modello è solido, le discrepanze sono parte della sua natura, e il dialogo fra matematica e coscienza si conferma, pur nelle sue differenze, come coerente e significativo.