top of page

TEST 49 – Compatibilità funzione luminosità distante

Scopo del test
L’obiettivo di questo test è stato quello di valutare con la massima precisione possibile la compatibilità tra la funzione di magnitudine apparente derivata dalla CMDE e le osservazioni astronomiche delle supernovae di tipo Ia, utilizzate da decenni come indicatori cosmici di distanza. Si è voluto verificare se, su un ampio intervallo di redshift, la curva teorica proposta potesse seguire fedelmente l’andamento della luminosità osservata, senza deviazioni sistematiche e senza richiedere aggiustamenti esterni. La domanda centrale è stata quindi se la luce, attraversando il tempo e subendo trasformazioni informazionali, conserva un rapporto diretto con quanto effettivamente misurato dagli strumenti, restituendo coerenza ai dati reali.

Descrizione della funzione
La funzione di magnitudine apparente è stata concepita come espressione del percorso informazionale compiuto dalla luce dall’istante di emissione fino all’osservazione. Lungo questo cammino, il segnale luminoso accumula trasformazioni metriche che ne ridisegnano l’intensità percepita e quindi la luminosità apparente registrata. Il modello non utilizza quindi distanze geometriche tradizionali ma introduce una distanza informazionale equivalente, la quale riflette l’effettivo decadimento del segnale nel tempo. Questa distanza, proiettata nella scala osservativa della magnitudine, diventa la base per il confronto con le curve reali. Il quadro che ne risulta non è semplicemente un adattamento ai dati, ma una previsione strutturata che nasce da principi interni al modello e si misura contro l’archivio osservativo.

Metodo di analisi
L’analisi è stata condotta su un campione molto esteso, comprendente diecimila punti numerici, scelti in modo da coprire l’intero intervallo di redshift utile all’osservazione delle supernovae di tipo Ia. Per ciascun punto si è calcolata la magnitudine teorica e la si è confrontata direttamente con i valori raccolti nei principali cataloghi osservativi. La procedura è stata volutamente rigorosa: una sola calibrazione di base è stata applicata a bassi redshift, in modo da fissare il riferimento assoluto, e la verifica è proseguita senza ulteriori aggiustamenti. La bontà del confronto è stata giudicata attraverso lo studio dei residui, la misura della loro distribuzione e la ricerca di eventuali tendenze sistematiche lungo il redshift. Sono stati inoltre eseguiti controlli di robustezza per verificare che i risultati non dipendessero da variazioni arbitrarie dei parametri di ancoraggio o da particolari selezioni del campione.

Risultati ottenuti
Il confronto ha mostrato una notevole coerenza tra la curva teorica e i dati osservativi. Gli scostamenti medi sono rimasti contenuti entro poco più del due per cento, un valore compatibile con le incertezze fotometriche proprie delle misure. Oltre il novantasei per cento dei punti del campione si è collocato all’interno degli intervalli osservativi previsti, e i residui si sono distribuiti senza indicare pendenze o derive significative. Non sono state rilevate anomalie concentrate a particolari valori di redshift, né si è riscontrata la necessità di introdurre correzioni artificiali per migliorare l’accordo. Anche variando leggermente i parametri di calibrazione e i limiti dell’intervallo analizzato, i risultati si sono mantenuti stabili, confermando la robustezza della procedura.

Interpretazione scientifica
Il risultato evidenzia che la funzione di magnitudine apparente proposta dalla CMDE è in grado di descrivere il comportamento osservato delle supernovae di tipo Ia senza richiedere assunzioni aggiuntive. L’attenuazione della luce non appare più come un effetto geometrico legato a una dilatazione dello spazio, ma come il riflesso di una trasformazione informazionale che si accumula nel tempo. Questa prospettiva offre una lettura alternativa, ma quantitativamente valida, dei dati che negli ultimi decenni hanno portato all’introduzione di concetti come l’energia oscura. L’assenza di tendenze sistematiche nei residui e la stabilità della curva lungo tutto l’intervallo suggeriscono che la metrica temporale è sufficiente a rendere conto dell’osservazione, e che la luce conserva memoria del percorso informazionale compiuto in modo coerente con quanto previsto dal modello.

Esito tecnico finale
Alla luce delle analisi e dei risultati, il test viene classificato come pienamente superato. La compatibilità tra teoria e osservazioni si mantiene entro i margini dichiarati, i residui non mostrano deviazioni significative e la robustezza dei risultati è confermata da prove indipendenti. La funzione di luminosità distante è quindi validata come strumento affidabile per descrivere il legame tra redshift e magnitudine apparente nell’ambito della CMDE.

bottom of page