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CMDE e Accelerazione dell’Universo: serve davvero l’energia oscura?

Aggiornamento: 8 set

Rappresentazione simbolica della trasformazione informazionale della luce nel tempo, con un’onda luminosa che si curva all’interno di una griglia spazio-temporale, evocando l’evoluzione percettiva del redshift senza materia oscura.

Alla fine degli anni Novanta l’osservazione delle supernove lontane cambiò la storia della cosmologia, perché mostrò un redshift più intenso di quello previsto dai modelli classici. Da quel momento il modello standard fu costretto a introdurre un’ipotesi straordinaria: l’universo non solo si espandeva, ma accelerava la propria espansione. Per giustificare questo comportamento venne aggiunto un nuovo termine alle equazioni di Friedmann, una componente invisibile chiamata energia oscura. In pochi anni questa entità ipotetica è diventata il cardine del modello ΛCDM, fino a rappresentare oggi quasi il settanta per cento del contenuto cosmico. Ma se quel redshift crescente non fosse mai stato un segno di accelerazione spaziale, e se la sua causa risiedesse altrove, allora l’intera costruzione potrebbe rivelarsi superflua.


La CMDE 4.1 propone una visione differente e radicale. Non è lo spazio a correre sempre più veloce, ma è il tempo a seguire una legge di trasformazione informazionale. La funzione z(t), continua e strutturata in tre fasi, descrive un ritmo che non è lineare, ma modulato. Questo ritmo imprime naturalmente alle osservazioni un redshift crescente, che appare come accelerazione se lo si interpreta dentro una metrica spaziale, ma che in realtà nasce dal tempo stesso. Non c’è bisogno di postulare forze invisibili: basta riconoscere che la luce si trasforma informazionalmente durante il viaggio, secondo una legge precisa.


Il caso Pantheon+, uno dei più ampi database di supernove, è emblematico. Le curve di luminosità, che nella cosmologia standard vengono adattate introducendo la costante cosmologica, sono state analizzate anche alla luce della metrica CMDE. Senza ricorrere a parametri aggiuntivi, la funzione z(t) ha mostrato coerenza con gli stessi dati, rivelando che ciò che appare come una spinta oscura nello spazio è in realtà il riflesso del ritmo temporale. La differenza è sostanziale: nel modello standard si aggiusta la metrica per spiegare le osservazioni, nella CMDE il comportamento emerge come conseguenza inevitabile del tempo informazionale.


L’universo dunque non accelera nello spazio, accelera nel tempo. Ciò che chiamiamo energia oscura non è una sostanza misteriosa, ma un errore di interpretazione. Il redshift crescente che le supernove ci mostrano non richiede forze aggiuntive, perché è la firma naturale di un tempo che evolve secondo leggi metriche profonde. La CMDE non nega l’osservazione, ma ne riorganizza il significato: l’effetto è reale, la causa non è oscura, è semplicemente temporale.

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