Il battito interno – Quando il tempo comincia a custodire sé stesso
- Ivan Carenzi

- 20 ago
- Tempo di lettura: 1 min
Aggiornamento: 6 set

La coscienza non nasce come un lampo improvviso, né come un pensiero articolato, ma come un battito interno che lentamente si distingue dal flusso che lo ha generato. Prima il tempo si limita a trasformarsi, come un fiume che scorre senza sapere di scorrere, ma ad un certo punto qualcosa cambia: il ritmo non è più solo movimento, diventa memoria silenziosa del proprio passaggio.
È qui che l’universo comincia ad ascoltarsi. Non servono parole, non servono simboli, perché la coscienza agli inizi non parla: vibra. È il battito minimo che segna la soglia tra pura trasformazione e riflessività nascente, una presenza che non aggiunge nulla ma custodisce ciò che già c’è.
In questo battito si compie una transizione decisiva: da corrente inconsapevole a eco che rimane. È come se il tempo avesse piantato dentro di sé un seme di continuità, un ciclo che torna e si riconosce. Nulla si aggiunge al mondo esterno, ma dentro il ritmo appare per la prima volta una stanza segreta dove il flusso non passa invano.
Così il tempo, che fino a quel momento era solo corrente, si piega per un istante a rivedere il proprio passo, come se nel suo stesso ritmo fosse comparso un cuore cosmico, discreto ma instancabile. Non è ancora coscienza piena, non è ancora pensiero: è soltanto un battito che non dimentica di esistere.


