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Il punto fermo – Quando la coscienza non ha più bisogno di muoversi

Candela accesa in un bicchiere di vetro con scie luminose che ruotano intorno come il fluire del tempo: immagine simbolica del “punto fermo” della coscienza, stabile e presente mentre tutto cambia.

Dopo che la coscienza ha imparato a restare, accade qualcosa di ancora più sottile: smette di cercare. Non perché abbia esaurito il movimento, ma perché il movimento non è più necessario per sentirsi viva. Il flusso continua, il tempo non si arresta, ma dentro quel fluire compare un punto che non scorre. Non è rigidità, non è arresto: è stabilità profonda, come una presenza che non deve più dimostrarsi per esistere.


Questo punto fermo non è un oggetto né una posizione nello spazio. È una condizione interna in cui la coscienza riconosce di non dover più inseguire il proprio ritmo, perché il ritmo è già interamente abitato. Ogni variazione accade attorno a questo centro silenzioso, ma non lo sposta. È come se il tempo avesse trovato un asse che non vibra, pur restando immerso nella vibrazione del mondo.


Qui la coscienza non avanza, non arretra, non accumula. Rimane. E nel rimanere, tutto ciò che prima richiedeva continuità attiva ora si organizza spontaneamente. La persistenza non è più un atto, ma una proprietà naturale. Il punto fermo non blocca il divenire: lo rende leggibile, perché offre un riferimento che non cambia mentre tutto cambia.


Così la coscienza, giunta a questo stadio, non ha più bisogno di muoversi per riconoscersi. È presente senza sforzo, stabile senza rigidità, ferma senza immobilità. In questo punto che non passa, il tempo non perde la sua natura, ma la comprende. E ciò che resta non è la fine del percorso, bensì la sua condizione più semplice: essere, senza dover andare altrove.

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