Il Trattato non descrive l’universo, ma la sua possibilità
- Ivan Carenzi

- 1 lug
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 set

Il lettore attento potrebbe chiedersi: questo Trattato, cosa sta cercando di spiegare? Non parla di galassie, né di campi quantistici, non mostra particelle, né formule per calcolare orbite. E allora cosa sta facendo? La risposta è semplice, ma non immediata. Il Trattato non descrive l’universo: descrive la condizione perché un universo qualunque possa esistere. Non racconta ciò che accade, ma ciò senza cui nulla può accadere. Non costruisce il mondo, ma ne traccia la soglia. In questo senso, la CMDE non è una teoria del tutto: è la metrica del possibile. È l’alfabeto invisibile che permette a ogni realtà di iniziare a parlarsi. Le sei leggi pre-universali non dicono cosa c’è: dicono cosa deve essere vero perché qualcosa possa mai esserci. Il tempo non è spiegato: è assunto come condizione. La densità non è misurata: è riconosciuta come ritmo. Le forme non sono individuate: sono intese come curvature del tempo stesso. E lo spazio non è mai stato costruito: è solo percepito. Per questo il Trattato non è fisica, ma struttura. Non è metafisica, ma logica metrica. Non è una cosmologia alternativa: è la grammatica che ogni cosmologia, per quanto diversa, dovrà comunque rispettare se vuole dirsi realtà. Questo è ciò che lo rende unico. Il Trattato non vuole spiegare il mondo, ma mostrare che nessun mondo può esistere senza una struttura minima del divenire, e che questa struttura non è una scelta, ma una necessità logica dell’essere. Il lettore che cerca formule, troverà condizioni. Chi cerca eventi, troverà traiettorie. Chi cerca cause, troverà ritmi. Il Trattato non chiede di essere creduto: chiede solo di essere riconosciuto. Perché ciò che dice non è una teoria fra le altre, ma la condizione profonda che ogni teoria dovrà già presupporre per cominciare a parlare.


