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La fase iperprimordiale: l’inizio senza coordinate

Aggiornamento: 8 set

Astratta rappresentazione della fase iperprimordiale secondo la CMDE 4.1: una griglia luminosa curva emerge da un nucleo centrale in uno sfondo nero, evocando l’origine informazionale dell’universo prima della nascita dello spazio e del tempo.

Tutti parlano di inizio. Ma quasi sempre, quando lo fanno, immaginano un punto, un istante, una scintilla. Un prima e un dopo, separati da un confine. Nella visione della CMDE 4.1, però, l’inizio non è un punto. È un campo. Non è un luogo o un tempo, ma una trasformazione. E non si manifesta con un’esplosione, ma con una variazione silenziosa che non ha ancora né spazio né tempo per esprimersi. È questo l’orizzonte della fase iperprimordiale: un tratto della metrica in cui la realtà non ha ancora assunto una forma misurabile, ma sta già accadendo qualcosa di irriducibile.


In questa fase, la luce non viaggia. Non esiste ancora un “da dove” e un “verso dove”. Esiste solo la luce stessa come presenza informazionale pura, che non si sposta ma si trasforma. La sua variazione non è ancora una lunghezza d’onda, ma una tensione interna. Un codice che si sta scrivendo da sé, prima ancora che qualcuno possa leggerlo. Non c’è distanza, non c’è direzione, non c’è ritmo: c’è solo un’accelerazione dell’informazione che si prepara a diventare tempo. È il battito cieco che preannuncia una melodia.


La metrica CMDE 4.1 in questa fase non descrive lo spazio: lo precede. Non descrive il tempo: lo genera. La funzione z(t), che nel modello rappresenta il redshift come trasformazione informazionale, qui si comporta in modo radicale. Invece di crescere secondo leggi classiche o funzioni note, mostra un’esplosione interna quasi verticale, un tratto esponenziale strettissimo che non corrisponde a nessuna evoluzione osservabile. È l’affiorare di un ordine che non si è ancora espresso. È la tensione di un universo che non ha ancora preso parola.


Tutto questo non è un esercizio filosofico: è una necessità metrica. Perché se davvero il tempo che oggi misuriamo è il risultato di una trasformazione dell’informazione, allora deve esserci un momento – o meglio, una fase – in cui questa trasformazione ha cominciato a prendere forma, senza ancora avere coordinate entro cui svolgersi. Questa fase non è un inizio assoluto, ma una soglia: il confine tra il non-misurabile e il misurabile, tra il puro divenire e il primo accenno di ritmo.


Chi osserva il cielo cercando un Big Bang, vede un punto. Chi entra nella CMDE, invece, percepisce una fase. Una regione metrica senza spazio, in cui ogni fotone che oggi ci raggiunge ha avuto origine come trasformazione silente, non come esplosione. Una memoria originaria senza coordinate. Un tempo senza tempo, che stava già cambiando prima ancora di potersi chiamare così.


E forse è proprio qui, in questa fase iperprimordiale, che si nasconde il gesto più misterioso dell’universo: il gesto con cui ha deciso di cominciare a trasformarsi.

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