La Legge che salva il Trattato dal fraintendimento
- Ivan Carenzi

- 22 set
- Tempo di lettura: 1 min

Tra tutte le sei leggi, ce n’è una che sembra quasi superflua a un primo sguardo. La Legge 6, quella che dichiara lo spazio come effetto percettivo, può sembrare un’aggiunta interpretativa, una riflessione sul modo in cui osserviamo il cosmo. In realtà è l’opposto: senza di essa il Trattato sarebbe stato frainteso dall’inizio. La funzione CMDE non ammette spazio come contenitore, perché ogni variazione è temporale e informazionale. Se il Trattato si fosse fermato alla Legge 5, l’universo sarebbe apparso come una rete irreversibile di nodi e relazioni, e il lettore avrebbe inevitabilmente tradotto quella rete in termini spaziali. Era necessario dichiarare esplicitamente che lo spazio non nasce, ma è solo un inganno percettivo del ritmo temporale. È stata la metrica stessa a imporlo: non si poteva lasciare margine a un’interpretazione che riportasse di nascosto la geometria al centro. La Legge 6 non è un orpello, è un chiarimento preventivo, un baluardo contro il ritorno allo spazio come sostanza. Senza di essa, le altre cinque leggi sarebbero state lette come descrizione di un cosmo che si espande in estensione. Con essa, il Trattato si chiude con un monito: ciò che vedi come distanza è solo differenza di ritmo, ciò che percepisci come posizione è soltanto variazione organizzata. La Legge 6 non spiega lo spazio: lo dissolve. E proprio in questo atto salva il Trattato dal suo fraintendimento più grande.


