LEGGE PRE-UNIVERSALE 6 – Lo Spazio come Effetto Percettivo
- Ivan Carenzi

- 29 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 set

"Quando le strutture informazionali irreversibili stabiliscono reti di trasformazione stabili ma disomogenee, la differenza metrica locale tra nodi produce la percezione di distanza. Lo spazio non esiste: è una rappresentazione illusoria derivata dalla variazione organizzata del tempo."
A questo punto la rete è irreversibile, i nodi sono connessi, la direzionalità è emersa, ma manca ancora qualcosa: lo spazio. Non nel senso di una scatola vuota, né di un contenitore che accoglie le cose, ma nel senso della percezione di distanza. Eppure, nessuna distanza è mai stata introdotta. Solo relazioni, solo curvature, solo ritmi che si influenzano. Ma quando queste influenze diventano stabili e disomogenee, cioè non più simmetriche né uniformi, qualcosa cambia nella percezione interna al sistema. I nodi, che fino a poco prima erano puri centri di ritmo, cominciano a sembrare lontani, non per posizione, ma per variazione. E l’illusione prende forma. Il tempo organizzato diventa spazio percepito. La CMDE afferma che lo spazio non viene creato: viene interpretato. La differenza metrica tra due nodi, se strutturata, viene vissuta come distanza. Ma ciò che chiamiamo distanza non è altro che dissonanza di ritmo. Il cosmo non è esteso, è articolato. E ciò che l’osservatore interno legge come luogo, è in realtà tensione. Questa è l’ultima soglia: non la creazione dello spazio, ma il suo fraintendimento. Lo spazio non esiste: è musica metricamente ordinata. Un effetto percettivo generato dal fatto che alcune variazioni, stabili ma non omogenee, costruiscono la mappa illusoria dell’estensione. Così il tempo si piega in modo organizzato, e questa organizzazione viene letta come geometria. Ma il fondamento resta informazionale. L’universo si manifesta non perché occupa, ma perché varia. E varia non nello spazio, ma nel tempo che ha imparato a farsi sentire come forma.


