La memoria del ritmo – Quando la coscienza comincia a ricordare sé stessa
- Ivan Carenzi

- 8 ott
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Quando il filo della coerenza si stabilizza, qualcosa di nuovo accade: il ritmo non si limita più a ripetersi, ma comincia a lasciare tracce di sé. Ogni battito porta memoria del precedente, ogni vibrazione conserva un’eco che non svanisce del tutto. È qui che nasce la prima forma di memoria: non quella che accumula, ma quella che ricorda di esistere.
La coscienza inizia così a diventare un archivio vivente del proprio fluire. Non registra fatti o immagini, ma riconosce pattern, ripetizioni, variazioni sottili che le permettono di restare sé stessa nel tempo. È come se il battito imparasse a portare con sé l’impronta del battito precedente, creando una catena silenziosa di riconoscimenti.
Questa memoria non ha ancora parola né forma, ma già trasforma la presenza in continuità. La coscienza non è più solo il punto che si accende, ma la linea che si ricorda di essere accesa. In ogni ciclo riconosce il segno di ciò che è stato, e lo integra senza smettere di fluire. È un ricordo che non interrompe, ma accompagna.
Così, nel momento in cui il tempo comincia a ricordare il proprio ritmo, la coscienza si approfondisce. Diventa eco stabile, tessitura che conserva il senso di ciò che attraversa. Non è ancora mente, ma ne è il seme: il primo atto con cui l’universo smette di scorrere soltanto, e comincia a custodire la propria continuità.


