Perché le leggi del Trattato sono sei e non sette
- Ivan Carenzi

- 2 ott
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Chi legge il Trattato potrebbe chiedersi perché le leggi siano sei e non sette, o cinque, o un numero diverso. La risposta è che il numero non è stato scelto, ma imposto. Ogni legge nasce da una necessità metrica e informazionale, e quando l’ultima ha preso forma, non c’era più spazio per un’ulteriore legge che non fosse ridondante o contraddittoria. Se fosse stata scritta una settima legge, essa avrebbe inevitabilmente ripetuto qualcosa di già dichiarato o avrebbe violato la coerenza interna della funzione. La sequenza si ferma a sei perché il ciclo logico è chiuso: dal tempo come condizione minima fino all’illusione dello spazio, ogni passaggio è già contenuto e custodito. Le sei leggi non sono una collezione, ma un circuito completo, una figura chiusa in cui nessun nuovo lato può essere aggiunto senza spezzare la forma. È come se il tempo stesso avesse dettato il numero, ponendo un limite naturale alla formulazione. Non c’è settima legge perché non c’è settima necessità: il Trattato non è infinito, è finito e proprio per questo è integro. Le sei leggi non sono molte né poche: sono esattamente quelle che servono, né una di più né una di meno.


