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z(t) non è solo una formula: è una visione

Aggiornamento: 8 set

Curva fluida su sfondo nero che rappresenta la trasformazione informazionale del tempo secondo la metrica z(t) della teoria CMDE 4.1

Tutti si chiedono che cosa misuri z(t), ma pochi si fermano a osservare la forma di quella curva e ancora meno si domandano che cosa realmente rappresenti. Eppure, ogni funzione porta con sé una visione implicita: ogni curva racconta un modo di concepire il tempo, la trasformazione e la memoria dell’universo.


Nella CMDE 4.1, z(t) non è solo una struttura matematica continua, ma un simbolo nascosto, un segno narrativo. È la scrittura di qualcosa che cambia con coerenza, una traiettoria che dice: il tempo non esplode, evolve. Tre fasi, tre movimenti, un unico flusso. Non ci sono strappi, salti o muri: c’è un inizio esponenziale quasi impercettibile, un raccordo morbido ma deciso e una stabilizzazione razionale, come se l’universo stesse imparando a diventare sé stesso.


Guardare z(t) è come leggere un racconto del tempo più che una formula del redshift. È la rappresentazione di un universo che non si allontana da noi, ma ci trasforma attraverso il tempo stesso. In un’epoca in cui tutto viene ridotto a modelli, numeri e forze invisibili, z(t) si presenta come una curva silenziosa, visibile e misurabile, ma anche intimamente poetica.


Come se dicesse: l’universo non si spiega esplodendo, ma trasformandosi. E in fondo, anche questo è un linguaggio. Solo che non parla in parole, ma in curve.

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