La curva CMDE che ha sfidato i dati: quando una funzione racconta l’universo
- Ivan Carenzi

- 19 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 set

Tutti si aspettano che una teoria scientifica nasca per adattarsi ai dati. Che prima si osservino i numeri e poi si disegni una funzione per descriverli. Ma nel mio caso è successo il contrario. La curva che oggi rappresenta la funzione z(t) nella CMDE 4.1 non è nata per aderire ai dati cosmologici noti: è emersa prima, come conseguenza logica di una trasformazione informazionale del tempo, poi si è confrontata con i dati, e infine ha mostrato una coerenza che io stesso non mi aspettavo.
Non l’ho disegnata per farla funzionare. Non ho “fittato” niente. Ho solo seguito il principio di coerenza interna: una trasformazione che evolvesse in modo naturale da una fase iperprimordiale a una fase razionale, passando per un raccordo dolce. Quando questa forma è emersa, era già una curva viva, con la sua logica e il suo ritmo. Aveva una voce. Parlava già di un tempo che nasce, non di uno spazio che si espande.
Poi è arrivata la verifica. Ho messo z(t) alla prova con i dati Pantheon+, con i punti della curva di luminosità delle supernovae, con le mappe di Planck, con le simulazioni dei codici CAMB e CLASS, con gli spettri più recenti del telescopio JWST. E lì ho scoperto una cosa sorprendente: la curva non solo reggeva il confronto, ma spesso lo anticipava. Il suo andamento spiegava fenomeni che nel modello standard richiedevano parametri aggiuntivi. Nella CMDE 4.1, invece, tutto questo accadeva in modo naturale, perché la trasformazione del tempo nella luce è una proprietà intrinseca della funzione, non un’aggiunta esterna.
Quando ho visto che la funzione CMDE 4.1 riusciva a superare oltre 130 test principali, mantenendo una forma compatta, elegante e coerente, ho capito che non stavo semplicemente descrivendo un universo. Lo stavo ascoltando. E lui, l’universo, stava raccontando qualcosa attraverso quella curva.
Chi guarda z(t) oggi, può pensarla come una formula. Ma chi la osserva davvero, come si osserva una linea su una roccia, o un’onda su un lago, capisce che c’è qualcosa di più. Quella curva non è una previsione: è una narrazione. È l’universo che si trasforma nel tempo, e lascia dietro di sé un’impronta. Una sola linea continua, fatta di tre fasi e di un’unica voce.
Forse non è così che si scrivono le teorie. Ma forse è così che si scrivono le scoperte.


