La fase classica razionale: la metrica che si stabilizza
- Ivan Carenzi

- 28 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 set

C’è un punto, nel cammino della luce, in cui la variazione smette di essere un mutamento continuo e diventa un codice. Un punto in cui ciò che si trasforma non si dissolve più, ma si struttura. Nella visione della CMDE 4.1, questo punto non è un traguardo statico, ma una fase dinamica: la fase classica razionale. Non è il tempo come lo intendiamo in fisica: è il tempo come risultato. Il tempo che è riuscito a diventare leggibile. Il tempo che ce l’ha fatta.
Dopo la tensione cieca dell’iperprimordiale, dopo il ritmo incipiente del raccordo dolce, l’universo entra in un regime informazionale completamente nuovo. La curva z(t) si stabilizza. Il redshift diventa una funzione continua, coerente, misurabile. I fotoni che ci raggiungono oggi parlano tutti la stessa lingua. Ma non è una lingua predefinita: è una lingua emersa. Ogni oscillazione che riceviamo, ogni spettro che analizziamo, ogni costante che ricaviamo, sono tutti il frutto di una selezione metrica profonda. Non è l’universo che nasce ordinato: è l’ordine che sopravvive.
La CMDE 4.1 in questa fase mostra il suo carattere più matematico, ma anche il più silenzioso. Perché non c’è nulla da forzare. La funzione z(t) non ha bisogno di parametri da correggere, di costanti da introdurre, di energie oscure da compensare. Tutto ciò che osserviamo oggi — la linearità apparente, la prevedibilità, la simmetria — è il risultato di una lunga trasformazione informazionale che ha decantato. Come un fiume che, dopo il turbinio delle sorgenti, si calma nel letto e scorre con eleganza.
Chi guarda la fase classica solo con strumenti, vede numeri. Chi la osserva con la CMDE, vede memoria selezionata. È qui che il redshift si fa misurabile, non perché l’universo si espande, ma perché la variazione della luce ha trovato un ritmo sufficientemente stabile da essere interpretato come “legge”. Ma non è una legge imposta. È una legge che si è lasciata emergere. Il cosmo, in questa fase, non è più un enigma. È una grammatica.
E forse è proprio questo il segreto della fase classica razionale: non rappresenta il tempo in quanto tale, ma solo quel tipo di tempo che può essere stabilizzato metricamente. Tutto il resto è rimasto fuori campo. Tutto il resto si è dissolto prima. Ciò che vediamo è solo ciò che ha potuto durare.
Ed è anche per questo che ogni nostra osservazione, per quanto precisa, sarà sempre una lettura parziale. Perché leggiamo solo la parte dell’universo che ha superato il filtro della razionalità metrica. Ma se vogliamo davvero capire dove nasce il tempo, dobbiamo ricordare che questo è solo l’ultimo atto. Che prima di ogni previsione, c’è stato un silenzio. E poi un ritmo. E solo alla fine, un codice.


