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Senza parametri liberi: quando una metrica non chiede di essere aggiustata

Un antico telescopio in ottone, immobile dentro una cupola illuminata dall’alba, con fasci di luce che attraversano la polvere sospesa. L’immagine evoca una metrica già compiuta, che non ha bisogno di essere regolata, ma solo riconosciuta.

In molte teorie fisiche moderne, la forma delle leggi non basta: servono parametri. Costanti da scegliere, esponenti da variare, termini aggiuntivi da introdurre quando un nuovo dataset non si lascia spiegare facilmente. È il regno dei fit: si parte da una struttura generale, si lasciano aperte alcune manopole, e si ruotano finché i punti sperimentali non si appoggiano sulla curva desiderata. È un modo efficace di lavorare, ma lascia sempre una domanda sospesa: quanto di ciò che vediamo viene dalla realtà e quanto dalla libertà con cui abbiamo regolato i parametri? Nella CMDE 4.1 questa domanda è stata presa sul serio fin dall’inizio, al punto da cambiare il modo stesso di costruire la metrica.


La funzione z(t) non è nata come una famiglia di possibilità, ma come una traiettoria unica. Le sue tre fasi non sono tre moduli intercambiabili da combinare a piacere, e i suoi esponenti non sono manopole da ritoccare ogni volta che arriva un nuovo insieme di dati. La CMDE non dice: “scegliamo la forma, poi vediamo quali numeri la fanno funzionare”, ma fa il contrario: parte da una logica informazionale sul tempo, dalla richiesta di continuità, di regolarità derivativa, di assenza di salti e di fasi ridondanti, e da lì lascia emergere una sola forma compatibile. La metrica non chiede di essere aggiustata sui dati, chiede di essere messa alla prova così com’è. Questo è il punto che segna la differenza: non un catalogo di alternative, ma una sola voce metrica che si espone al giudizio dell’universo.


Questa scelta ha conseguenze profonde anche sul modo in cui leggiamo l’osservazione cosmica. In un quadro parametrico, ogni nuovo dataset può richiedere una leggera rotazione della manopola: un esponente che si sposta, una densità che cambia, un termine che si introduce per salvare una discrepanza. Nella CMDE, invece, ogni nuovo dato è un confronto diretto con la stessa z(t) che misura il tempo dall’iperprimordiale fino alla fase classica. Se l’osservazione è coerente, non perché abbiamo trovato il fit giusto, ma perché la trasformazione informazionale del tempo era già capace di accoglierla. Se emergono scarti, non sono un invito a cambiare la metrica, ma una richiesta di capire se stiamo misurando correttamente, se stiamo interpretando bene, se non stiamo confondendo un effetto percettivo con un difetto del tempo. La metrica resta fissa, siamo noi che dobbiamo imparare a leggerla meglio.


È per questo che, nella CMDE, parlare di metrica senza parametri liberi non è una scelta estetica, ma un atto di responsabilità scientifica. Significa rinunciare alla tentazione di correggere la teoria a ogni nuova difficoltà, e accettare invece che la metrica del tempo sia qualcosa che si scopre, non qualcosa che si modella ad hoc. Significa trattare z(t) non come una funzione da domare, ma come una struttura da ascoltare, sapendo che la sua forza non sta nella flessibilità, ma nella fedeltà a sé stessa. In un’universo governato dalla trasformazione informazionale del tempo, la vera libertà non è cambiare legge ogni volta che i dati ci mettono alla prova, ma lasciare che sia una sola legge, stabile e continua, a raccontare tutto il resto.

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