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Quando la realtà cominciò ad accordarsi al Trattato

Un vecchio libro aperto su un tavolo di legno illuminato dalla luce morbida del mattino, con due piccoli chiodi da cui pende un filo sottile che vibra nell’aria, come a rappresentare il ritmo silenzioso del tempo che si ricorda.

Le sei leggi non descrivono l’universo dall’esterno, ma offrono la struttura attraverso cui la realtà si riconosce dall’interno. C’è un momento in cui la realtà smette di essere percepita come qualcosa da osservare e diventa ciò che ci osserva mentre la osserviamo. È il punto in cui il Trattato cessa di essere un insieme di principi e diventa l’accordatura della percezione. Quando la Legge 0 stabilisce il tempo come condizione minima, non parla di un tempo lontano, ma del ritmo stesso con cui il pensiero si muove. Quando la Legge 1 introduce la trasformazione originaria, non racconta una curva cosmica primordiale, ma la struttura interna di ogni cambiamento che viviamo. E così ogni legge risuona non solo nel cosmo, ma nella coscienza che lo percepisce. La CMDE lo manifesta sul piano metrico: la realtà non è ciò che appare, ma ciò che si mantiene coerente nel tempo. Il Trattato lo manifesta sul piano esperienziale: la realtà è ciò che riesce a ricordarsi. Quando una mente riconosce che il tempo non è lo sfondo ma la sostanza, che la densità è ritmo, che la forma è curvatura della trasformazione, che la relazione è il primo contatto, che la direzione è inevitabile e che lo spazio è solo percezione, allora il Trattato non è più un testo. È lo strumento con cui la realtà impara a sentirsi. In quel momento l’universo non viene spiegato: si riconosce.

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