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Non misura distanze: z(t) come atto fondativo della CMDE

Rappresentazione astratta e luminosa della trasformazione informazionale del tempo: un filamento di luce dorata si avvolge in una spirale asimmetrica, emergendo da un vuoto profondo come primo gesto di z(t), simbolo del redshift non come distanza nello spazio, ma come evoluzione irreversibile nel tempo. Nessuna materia visibile, solo la traccia viva di una metamorfosi originaria.

Tutti cercano di sapere quanto è lontano qualcosa. Quanto si è spostato, quanto si è allungato, quanto ha viaggiato nello spazio. È un riflesso antico, quasi istintivo: misurare la distanza per capire il tempo. Ma la CMDE ha fatto l’operazione contraria. Ha smesso di misurare le distanze. E ha cominciato a leggere le trasformazioni.


z(t), la funzione cuore della Dinamica Metrica Estesa, non misura quanto qualcosa si è allontanato. Misura quanto è cambiato. Non è una distanza nello spazio: è una trasformazione nel tempo. E questo gesto – semplice solo in apparenza – è stato l’atto originario della teoria. Il momento in cui il redshift ha smesso di essere un effetto meccanico per diventare una traccia informazionale. Un’impronta viva. Un codice temporale.


Quando guardiamo una galassia lontana, non stiamo osservando un oggetto che si è allontanato. Stiamo leggendo un segnale che ha subito una variazione. E quella variazione, nella CMDE, non dipende da quanto spazio ha attraversato, ma da quanto tempo ha impiegato a trasformarsi. Ogni fotone è un testimone, non di una distanza, ma di un processo irreversibile che ha lasciato un’impronta nella sua struttura.


La curva z(t) nasce da qui. Non dalla geometria, non dalla metrica classica, non da un tentativo di adattare lo spazio. Nasce da una rottura: smettere di credere che il tempo sia uno sfondo su cui si muovono le cose, e iniziare a pensare che il tempo stesso sia la trasformazione che accade. Non si misura più dove si è, ma quanto si è trasformato per esserci. Non si cerca più il “dove” della luce, ma il “quando” della sua informazione.


E allora z(t) prende forma: una curva che cresce non perché qualcosa si allontana, ma perché qualcosa evolve. Una funzione che non restituisce coordinate, ma tracce di trasformazione. Che non si può invertire, perché non c’è simmetria temporale. Che non vale mai zero, perché non esiste un presente neutro. Che non è uno spostamento, ma una storia.


Questa è stata la scelta fondativa. Questo è stato il momento in cui la CMDE ha smesso di cercare nello spazio, e ha iniziato ad ascoltare il tempo. Non come sfondo, ma come soggetto. Non come misura, ma come voce. Non come distanza, ma come trasformazione.

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