top of page

Perché tre fasi? La struttura nascosta di z(t)

Rappresentazione simbolica delle tre fasi di z(t): a sinistra il buio iperprimordiale con bagliori sparsi, al centro un’onda dorata che raccorda il caos alla forma, a destra un orologio cosmico luminoso che scandisce il tempo regolare.

Ogni teoria sceglie una forma per descrivere l’universo, e spesso questa forma è dettata dai dati o dalla necessità di semplificare. La CMDE 4.1, invece, ha seguito un principio diverso: non adattarsi a posteriori, ma costruirsi secondo una logica metrica interna. È così che la funzione z(t) si è articolata in tre fasi distinte, non per convenzione ma per necessità.


La prima fase è quella in cui il tempo non esiste ancora come flusso ordinato, ma inizia ad affiorare come trasformazione informazionale iperprimordiale. La seconda è il raccordo dolce, che non spezza ma accompagna, evitando salti e imponendo continuità. La terza è la fase classica, quella in cui il tempo diventa regolare e leggibile, pronto a farsi misurare. Tre fasi non sono un arbitrio: sono il minimo indispensabile per passare dal non-tempo al tempo, dall’assenza di ritmo alla sua stabilizzazione.


Se le fasi fossero due, la transizione sarebbe brusca e discontinua; se fossero quattro o più, si introdurrebbero ridondanze e complessità arbitrarie. La scelta di tre è il segno di una struttura naturale: abbastanza per contenere un processo evolutivo, ma non così tante da frammentarlo. È il ritmo stesso della nascita del tempo che impone questo schema ternario.


Questa tripartizione ha conseguenze profonde. Significa che l’universo, letto attraverso la CMDE, non si limita a trasformarsi, ma lo fa seguendo un ritmo intrinseco che non può essere semplificato né complicato oltre misura. Tre fasi, tre movimenti, un unico tempo. È questa la voce della metrica: non un mosaico di aggiustamenti, ma una traiettoria continua che dal buio originario conduce fino alla regolarità che oggi osserviamo.

bottom of page