Redshift e coordinate comoventi: la CMDE può farne a meno?
- Ivan Carenzi

- 5 lug
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 7 set

Nel modello ΛCDM, uno dei concetti più usati per interpretare l’universo è quello di distanza comovente, una misura che serve a descrivere lo spazio tra due punti in un contesto che si espande. Le coordinate comoventi non sono statiche, ma si adattano all’evoluzione geometrica del cosmo, seguendo l’idea di uno spazio che cresce con il tempo. Tutte le grandezze fondamentali della cosmologia classica – distanze di luminosità, metriche FLRW, relazioni angolari – poggiano su questo strumento, che diventa indispensabile in un universo che si dilata. Ma cosa succede se l’universo non si espande, se il redshift non nasce da un allungamento dello spazio ma da una trasformazione del tempo?
La CMDE 4.1 si muove proprio in questa direzione. Nella sua visione, lo spazio non è un campo che cambia dimensione, ma un derivato percettivo che resta fermo. L’attore reale è il tempo, che si struttura secondo una legge informazionale. In questo quadro, le coordinate comoventi perdono di senso perché non c’è bisogno di compensare un’espansione inesistente: il fotone accumula trasformazione lungo il tempo, non attraverso uno spazio che cresce. La funzione z(t) diventa così il cuore del processo, l’unica variabile necessaria per spiegare il redshift.
Il confronto mette in evidenza la differenza di paradigma. Nel ΛCDM, il redshift è legato allo stiramento dello spazio e le coordinate comoventi servono a tradurre questa dinamica in misure coerenti. Nella CMDE, il redshift non ha bisogno di traduzioni coordinate: cresce in quanto espressione della trasformazione del tempo, continua e globale. Non è lo spazio che si allunga, ma il tempo che evolve. Non serve ricalcolare sistemi di riferimento a ogni epoca cosmica: la legge metrica del tempo resta valida in ogni fase.
Questo cambio di prospettiva ha implicazioni profonde. Eliminare le coordinate comoventi non significa ignorare uno strumento utile, ma mostrare che quel meccanismo era necessario solo in un paradigma geometrico che supponeva uno spazio in espansione. Nella CMDE, l’universo non è un contenitore che si dilata, ma una trasformazione informazionale che ordina la luce in modo coerente e irreversibile. Le coordinate comoventi non sono sbagliate: sono superflue. Se il tempo è il vero campo attivo, allora l’universo si lascia descrivere interamente senza di esse.


