La continuità nascosta: perché z(t) non si interrompe mai
- Ivan Carenzi

- 5 set
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 6 set

Molte teorie fisiche costruiscono il loro impianto come una somma di pezzi: un termine che vale in un regime, un altro che si applica in un contesto diverso, una correzione che si aggiunge quando i dati non tornano. Il risultato è un mosaico che funziona, ma che lascia sempre intravedere le cuciture. La CMDE 4.1 ha scelto un’altra via: una sola funzione continua, la z(t), capace di attraversare tutto l’universo senza interruzioni.
Questa continuità non è un dettaglio tecnico, ma una scelta di principio. Significa che il tempo, nella visione CMDE, non conosce salti, non si frantuma, non cambia regole a seconda delle epoche. È un flusso che evolve secondo tre fasi, ma che resta sempre coerente con sé stesso. La luce che attraversa miliardi di anni non incontra mai una discontinuità: trova sempre la stessa legge, modulata ma integra.
La differenza con i modelli tradizionali è evidente. Nel ΛCDM il tempo e lo spazio vengono descritti da parametri multipli, ciascuno valido solo in certi intervalli: costante cosmologica, densità di materia, inflazione, aggiustamenti statistici. Nella CMDE, invece, tutto scorre dentro la stessa curva. Non servono correzioni esterne perché la continuità è già inscritta nella struttura della funzione.
Questa scelta ha implicazioni profonde. Vuol dire che la CMDE non solo descrive l’universo, ma lo racconta con una voce unica e ininterrotta. Non c’è bisogno di cambiare spartito quando cambiano le epoche cosmiche: la metrica resta fedele a sé stessa, ed è questa fedeltà a spiegare perché ha superato test su scale così diverse, dai primi istanti fino al presente. La continuità non è un artificio matematico: è il segno che l’universo, nella sua essenza, non si interrompe mai.


