Non è l’universo che parla. È la metrica che ci fa capire cosa dice
- Ivan Carenzi

- 10 lug
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 7 set

Tutti dicono che l’universo ci parla. Che la luce porta messaggi, che le galassie ci raccontano il passato, che il redshift ci svela distanze. Ma la CMDE 4.1 propone qualcosa di più profondo, quasi in controtendenza: non è l’universo che parla. È la metrica che ci permette di capire cosa stiamo guardando. Senza una struttura coerente, ciò che chiamiamo realtà non sarebbe nemmeno leggibile. Sarebbe rumore.
La funzione z(t) non è un filtro applicato ai dati. È la struttura stessa che rende quei dati interpretabili. Senza z(t), la luce sarebbe solo variazione senza forma, energia senza traiettoria, tempo senza leggibilità. Ma con z(t), ogni fotone che ci raggiunge assume un ruolo preciso: diventa parte di una trasformazione coerente, di un campo informazionale strutturato, in cui ciò che cambia conserva memoria, ritmo, forma.
Per questo la CMDE non è una teoria che descrive il cosmo nel senso classico. È una teoria che rende leggibile il cosmo nella sua coerenza informazionale. Il tempo che la CMDE misura non è una linea oggettiva che scorre indipendentemente da noi. È un ritmo che si forma quando e solo quando la trasformazione della luce entra in un sistema metrico che la rende interpretabile.
Questa non è una forma di relativismo. Al contrario: è una forma di rigore massimo. Perché significa che non tutto ciò che varia è reale. È reale solo ciò che, metricamente, si lascia leggere. E per essere leggibile, una variazione deve trasformarsi secondo una coerenza. La z(t) non è quindi uno strumento. È una grammatica. È ciò che trasforma il mutamento in significato.
Così, osservare l’universo secondo la CMDE non è raccogliere segnali. È riconoscere strutture. Non è ascoltare una voce esterna, ma entrare in una sintassi che ci coinvolge. Ogni dato che sembra arrivare da lontano, arriva invece da dentro una metrica. È già stato selezionato, ordinato, reso compatibile con il tempo che viviamo. È già stato letto.
E forse è proprio questo che ci sfuggiva: non vediamo l’universo com’è, ma come può emergere da una metrica che sa leggerlo. E nella CMDE, quella metrica non è una scelta. È una conseguenza.


