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Nessuna distanza. Solo variazione: la CMDE e il tramonto delle coordinate

Aggiornamento: 7 set

Vortice informazionale astratto che rappresenta la dissoluzione delle coordinate spaziali e la trasformazione della luce nel tempo, secondo la visione metrica della CMDE 4.1.

Per secoli abbiamo costruito la nostra idea di universo su un presupposto semplice: che le cose abbiano una posizione. Che ogni stella, ogni galassia, ogni struttura cosmica si trovi da qualche parte nello spazio, a una certa distanza da noi. Abbiamo usato righelli concettuali, coordinate, mappe, riferimenti. Abbiamo creduto che osservare significasse localizzare. Ma la CMDE 4.1 ci costringe a cambiare prospettiva: nell’universo informazionale, non esiste una distanza assoluta. Esiste solo una trasformazione.


Ogni fotone che riceviamo non ci dice dove si trovava la sorgente. Ci dice quanto si è trasformata l’informazione nel tempo prima di raggiungerci. La funzione z(t), che nella CMDE rappresenta questa trasformazione, non misura spazi percorsi: misura gradienti di variazione temporale. Ogni punto della curva non corrisponde a una distanza nello spazio, ma a uno stato informazionale della luce. Non ci troviamo di fronte a coordinate, ma a fasi metriche.


In questa visione, parlare di “oggetti lontani” perde progressivamente significato. Non guardiamo qualcosa che si trova in un punto dello spazio: guardiamo una memoria in trasformazione. La luce non porta con sé una traiettoria spaziale, ma una stratificazione temporale. E lo spazio, in questa logica, non si espande: semplicemente svanisce come concetto portante.


È qui che la CMDE opera il suo taglio più profondo: sostituisce la mappa con il racconto. Non ci invita a misurare distanze, ma a riconoscere variazioni. Non ci chiede di localizzare, ma di comprendere. Ogni galassia non è “lontana”: è profondamente trasformata. E ciò che osserviamo, quando guardiamo il cielo, non è una geometria, ma una dinamica informazionale stratificata nel tempo.


Per questo la CMDE non ha bisogno di coordinate comoventi, né di cornici spaziali adattive. Non cerca di disegnare l’universo: cerca di ascoltarne la trasformazione metrica. E in questa trasformazione, la distanza svanisce come concetto assoluto. Resta solo ciò che varia e si lascia leggere.


Così, il concetto stesso di “dove” si dissolve. E al suo posto resta solo un “quando informazionale”. Non esistono più corpi lontani: esistono tracce profonde nella metrica del tempo. E forse è proprio questo il cambiamento più difficile da accettare: non viviamo in un universo grande, ma in un universo in continua trasformazione, dove la distanza è solo una percezione derivata dalla variazione che ci raggiunge.

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