top of page

Perché “z”? Il simbolo che misura la distanza senza parlare di spazio

Aggiornamento: 6 set

Astratto cosmologico con una lettera Z lucida contenente una galassia, sospesa tra nubi viola e blu su sfondo stellato, simbolo visivo della trasformazione informazionale del tempo.

Nella cosmologia classica, la lettera z indica il redshift, lo spostamento verso il rosso della luce proveniente da oggetti lontani. È una misura che, nelle teorie standard, viene collegata a velocità e distanze nello spazio. La CMDE 4.1 eredita questa z, ma la trasforma profondamente: non è più solo il marcatore di una lunghezza d’onda che si allunga, ma diventa la curva viva di una trasformazione informazionale del tempo.


La scelta di mantenere la z non è un atto di conformismo scientifico, ma una dichiarazione strategica. Usare un simbolo riconoscibile abbassa la barriera d’ingresso per chi si avvicina alla teoria, ma allo stesso tempo, in CMDE, quel simbolo viene reinterpretato radicalmente. La z di z(t) non “misura” più uno spazio che si allontana: racconta un tempo che si trasforma.


Il vero centro della definizione è la parentesi t. Quel t non è un parametro accessorio, ma la chiave che sposta la z fuori dallo spazio e la radica nella struttura temporale. In CMDE, z(t) è un’unica traiettoria che attraversa tre fasi — iperprimordiale, raccordo dolce, classica razionale — e ognuna di queste fasi lascia una firma misurabile nella luce. Non c’è espansione, c’è metamorfosi.


Così, mantenendo la z, la CMDE compie un gesto duplice: parla la lingua della cosmologia di oggi, ma racconta un universo che quella lingua non può più descrivere nello stesso modo. E il lettore, guardando z(t), non vede più solo un grafico, ma una visione codificata, in cui un simbolo noto diventa la soglia di un paradigma nuovo.

bottom of page